Mission accomplished
Domenica 16 marzo del 2003. Mancano quattro giorni all’imminente attacco dell’esercito statunitense all’Iraq di Saddam Hussein, accusato, con prove false, di essere uno dei sostenitori del terrorismo islamista che aveva colpito gli Stati Uniti l’11 settembre del 2001. I molti occidentali che abitano a Baghdad si affrettano a imbarcarsi sugli ultimi voli utili per rientrare nei propri paesi. Sono pochi quelli che scelgono di percorrere questa rotta all’incontrario e di andare in quello scenario di guerra con l’obiettivo di cooperare per una ricostruzione che metta il futuro degli iracheni al primo posto. Tra questi c’è Francesco Corbani che lavorerà presso la Coalition Provisional Authority (CPA) e che in queste pagine ci consegna una importante testimonianza che a distanza di anni è anche un’analisi sui risultati della “Guerra santa” contro il terrorismo. Francesco Corbani è nato nel 1937 da una famiglia di contadini senza terra della bassa padana, approdando nel ‘55 nella Milano industriale. Un excursus professionale in due importanti multinazionali - Brown Boveri e Pirelli - lo porta a contatto con il mondo delle grandi infrastrutture. Comincia a viaggiare in ogni angolo di quel mondo, nei paesi avanzati che le progettano e finanziano e in quelli del terzo e quarto mondo dove vengono realizzate. Un lavoro che gli fa vivere gli squilibri e i contrasti tra il mondo dello sviluppo e quello del sottosviluppo. Tra chi sfrutta e chi viene sfruttato, perché i finanziamenti delle grandi infrastrutture servono più a supportare il Welfare dei primi che a soddisfare i bisogni dei secondi, che accumulano debiti su cui ci sarebbe tanto da dire, non soltanto che i primi vi speculano con operazioni di Swap finanziario che li arricchisce mentre affama i secondi. E qui comincia la sua seconda vita; sempre negli stessi paesi, ma con un obiettivo diverso. Collaborare con gli uni e con gli altri per dare una mano a chi cerca di combattere squilibri sociali.